Ma davvero il growth hacker è la figura professionale che è in grado di dare una scossa ai business online?

Con questa domanda in mente ho deciso di fare quattro chiacchiere con Raffaele Gaito – considerato uno dei massimi esperti italiani della materia.

E sono riuscita a tirar fuori una delle interviste peggiori nella storia di CantStop Lab.

Problemi audio, inquadrature errate, linea di Skype terribile, citofonate e cazziate al team in diretta.

Purtroppo non ce me vergogno abbastanza, così in fondo alla pagina c’è l’audio (pessimo! Io ti ho avvertito…) della nostra chiacchierata.

Se sei un impavido ho anche il video integrale dell’intervista. Ma quello me lo dovrai chiedere in ginocchio.

Fortuna che Raffaele sa il fatto suo (e come potrebbe essere altrimenti?) e ha risposto alle mie domande con garbo e ironia.

Per te, invece, che sei impazienti di sapere perchè il growth hacking è l’approccio che ti salverà il business, ho trascritto l’intervista qui sotto (non ringraziarmi).

Nonna, ti spiego che lavoro faccio.

Alias:

Cos’è un growth hacker?

È la prima cosa che ho chiesto a Raffaele Gaito.

Ma dato che voglio capirlo una volta e per sempre, gli ho chiesto di farlo come se lo stesse spiegando a sua nonna.

Fortunatamente non ero l’unica a pormi il problema di semplificare le cose e infatti Raffaele – che deve aver ricevuto questa domanda un milione di volte – aveva già la risposta pronta.

GT:Aiuto le aziende a realizzare prodotti migliori e a comunicarli meglio utilizzando i dati e la sperimentazione”.

Una definizione di growth hacker più semplice non poteva darcela.

Quindi sono andata a controllare sul suo blog, dove c’è una dettagliata guida sul growth hacking, e ne ho trovata un’altra ripresa da Wikipedia:

Il Growth Hacking è un processo di sperimentazione rapida sul prodotto e sui canali di marketing per trovare il modo più efficiente per far crescere un business”.

Insomma, cari imprenditori, scordatevi il vecchio marketing e i suoi soliti processi.

Qui si sperimenta per crescere in fretta.

E non lo si fa alla cieca, ma basandosi sui dati e informazioni che il growth hacker deve saper maneggiare per prendere le decisioni giuste.

E Raffaele me lo conferma:

RG:In generale, l’approccio basato su esperienza, intuito, decisioni di pancia non è il migliore nel mondo del business. Tutto ciò che non è misurabile non piace a chi fa growth hacking”.

Quello del growth hacker è un profilo professionale che si sta affacciando da poco sul mercato del lavoro italiano e le richieste da parte delle aziende stanno aumentando.

Si tratta di una professione molto interessante perché consente di coniugare competenze diverse.

RG:Quello del growth hacker è un profilo a T, non è uno specialista, perché ha delle competenze trasversali che sono legate al mondo del digitale”.

Quindi, che competenze dovrebbe sviluppare chi vuole diventare growth hacker?

RG:Per citare 4-5 macrocategorie, direi che un growth hacker dovrebbe essere esperto di marketing, perché si parla di quello e quelle sono le origini;

dovrebbe avere competenze nel mondo dei dati, saperli interpretare, confrontarli, senza essere per forza dei data analyst;

poi, deve essere una persona orientata al prodotto, cosa che non è banale perché non tutti lo sono.

Infine, abbiamo le competenze più tecniche, di management, di psicologia e persuasione perché ha continuamente a che fare con gli utenti, utilizza dati anche di tipo qualitativo facendo interviste e così via”.

Un mestiere a tutto tondo, che mette insieme discipline diverse, alcune delle quali considerate spesso opposte tra di loro.

RG:Apparentemente potrebbero sembrare delle competenze che sono in contrasto tra di loro ma in realtà non è così.

Nel growth hacking c’è anche una forte parte di creatività che potrebbe essere vista come opposta ai dati, ma proprio dall’intersezione tra queste diverse competenze nasce quel valore aggiunto rispetto all’approccio tradizionale e verticale”.

Il growth hacking è solo per startup?

La figura del growth hacker è nata in Silicon Valley, la patria delle startup.

Le imprese tecnologiche avevano bisogno di qualcuno che spingesse la loro crescita sperimentando nuove strade e così è nato il growth hacking.

In seguito, questo approccio si è diffuso anche ad altri settori e alle aziende di più lungo corso.

RG: È vero che questa metodologia nasce nel mondo delle startup ma è anche vero che oggi non è più relativa solo a quel mondo.

Io lavoro con PMI e con multinazionali. IBM, Philips, ING, Heineken stanno tutte sviluppando una parte di growth hacking, quindi è un approccio che appartiene anche alle grandi aziende.

In particolar modo, però, se sei una startup e hai poco tempo, poco budget e poche risorse hai necessità di lavorare fin da subito con un approccio di questo tipo, che è basato sull’ottimizzare le risorse, spendere il meno possibile, andare il più velocemente possibile.

Se sei una startup non puoi permetterti di lavorare in altro modo altrimenti muori”.

Ci sono anche alcune imprese italiane che stanno adottando l’approccio growth hacker con ottimi risultati:

GT:Tra i clienti con cui sto lavorando in questo momento c’è Treedom, che consente di adottare alberi a distanza, ma sul mio blog ci sono anche studi di altre realtà italiane che non sono miei clienti”.

Gli errori che le aziende fanno sempre

L’approccio delle aziende sta cambiando. Almeno per quanto riguarda startup e grandi imprese.

Eppure, nonostante tutto, sono ancora tanti gli errori che le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni fanno quando comunicano online.

GT:Ci sono diversi errori che fanno le aziende quando comunicano online e in generale quando parlano con i loro clienti.

Il primo è che molto spesso non sanno con chi stanno parlando. Te ne rendi conto dal modo con il quale creano i contenuti e comunicano online che loro non hanno idea di chi è veramente il loro target.

Il secondo punto lo legherei a una tematica di contenuti, che è una delle cose che a me sta più a cuore.

Ci sono veramente poche realtà in Italia che lavorano bene con i contenuti nel senso di informare la loro audience e quindi fare contenuti utili, interessanti, specifici per quella nicchia.

Vedo ancora pagine Facebook o account Instagram che sono pieni di promozioni e poi non c’è nessun contenuto utile nel vero senso del termine.

Se invece guardiamo alle startup americane questa è una cosa che li rappresenta, perché loro hanno dei blog pazzeschi e dei contenuti interessanti.

Come terza cosa ti direi – citando Simon Sinek e la sua famosa “ricerca del perché” – che molte realtà sia grandi sia piccole fanno poco lavoro, poca ricerca sul tema del perché.

Per chi non l’avesse letto, Sinek dice che quando comunichiamo dobbiamo mettere il perché facciamo certe cose prima del come.

Ormai questo è un concetto sdoganato nel mondo del marketing, ma nonostante ciò, tante aziende sono super concentrate sul cosa facendo zero attenzione al perché.

Al contrario questo punto fa tutta la differenza del mondo, soprattutto se incontri quell’azienda, quel canale per la prima volta.

Se atterro sul tuo canale Youtube, sul tuo blog, sulla tua pagina Instagram, nel primo impatto che ho con quell’azienda vedo la differenza fra chi mette il cosa, il come e chi mette il perché in primo piano”.

Lo strano caso del blog

A proposito di contenuti e di ricerca del perchè, uno strumento spesso sottovalutato dalle imprese è il blog.

Viene visto come una perdita di tempo o una semplice vetrina per i propri prodotti.

Ma davvero si può fare a meno del blog in una strategia di comunicazione o è uno strumento essenziale?

GT:No, non se ne può fare a meno.

Ovviamente dipende da come lo utilizzi, da cosa ci metti di contorno e quindi il blog da solo non basta. Ma avere un posto, una piattaforma proprietaria dove metti i contenuti è fondamentale.

Oggi ancora di più visto che ci sono algoritmi che non abbiamo sotto il nostro controllo, i costi della pubblicità sono in continua crescita e così via.

Non puoi affidarti al cento per cento a Facebook, Twitter, Youtube, Instagram.

In un posto dove non detti tu le regole, non hai il controllo della visibilità, quello che crei diventa di qualcun altro, avere una piattaforma dove le cose che fai sono tue, sono gestite, organizzate, scritte da te, mostrate come vuoi tu, con l’esperienza utente che decidi tu è fondamentale.

E – nell’ottica di creare dei contenuti utili e di qualità per la propria audience – il blog diventa uno strumento importante anche semplicemente come punto d’aggregazione per altre cose.

Io ho da poco rifatto completamente il mio sito e sopra ci faccio finire i miei video di Youtube, i miei contenuti di Facebook ma è sempre la piattaforma mia, che gestisco io e sono sicuro che è al cento per cento sotto il mio controllo”.

La chiacchierata con Raffaele Gaito è giunta al termine, ma prima di lasciarlo ai suoi impegni a Cambridge sono curiosa di sapere se e come potremo vederlo di nuovo in Italia.

GT:Sarò il 30 e 31 marzo in Italia per il Bootcamp sul Growht Hacking a Salerno. Una full immersion di un weekend in cui si lavora su progetti concreti”.

Un’ottima occasione per mettersi alla prova con l’approccio del gowth hacking.

Guai a chi se la perde!

Tranquillo, non mi sono dimenticata…

Ecco l’audio dell’intervista rimaneggiato un po’.

Sei proprio sicuro di volerlo ascoltare?

L’audio sbagliato dell’intervista a Raffaele Gaito. A tuo rischio e pericolo.